Vincenzo Jannacci detto
Enzo nasce a Milano il 3 giugno 1935 (Milano, 29 marzo 2013) è stato un cantautore, cabarettista e medico italiano, tra i maggiori protagonisti della scena musicale italiana del dopoguerra.
Caposcuola del cabaret italiano, nel corso della sua cinquantennale carriera ha collaborato con svariate personalità della musica, dello spettacolo, del giornalismo, della televisione e della comicità italiana, divenendo artista poliedrico e modello per le successive generazioni di comici e di cantautori.
Autore di quasi trenta album, alcuni dei quali rappresentano importanti capitoli della discografia italiana, e di varie colonne sonore, Enzo Jannacci, dopo un periodo di ombra nella seconda metà degli anni novanta, è tornato a far parlare di sé ottenendo vari premi alla carriera e riconoscimenti per i suoi ultimi lavori discografici.
È ricordato come uno dei pionieri del rock and roll italiano, insieme ad
Adriano Celentano,
Luigi Tenco,
Little Tony e
Giorgio Gaber, con il quale formò un sodalizio durato più di quarant'anni.
La sua carriera
La carriera di musicista inizia negli anni cinquanta. Dopo il diploma in
armonia, composizione e
direzione d'orchestra ed otto anni di pianoforte presso il Conservatorio di Milano con il maestro Gian Luigi Centemeri, inizia - all'età di vent'anni - a frequentare gli ambienti del cabaret, mettendo subito in mostra le proprie doti di intrattenitore e presentatore.
Nel frattempo, si avvicina al jazz e comincia a suonare in alcuni locali milanesi, ma contemporaneamente scopre anche il rock and roll, genere nuovo che stava ottenendo grande successo in America con artisti del calibro di Chuck Berry e Elvis Presley.
Nel 1956 diventa tastierista dei
Rocky Mountains, alla cui voce c'è Tony Dallara e che si esibiscono ripetutamente alla Taverna Mexico, all'Aretusa ed al club Santa Tecla, ottenendo grande successo; tuttavia, alla fine di quell'anno, Jannacci lascia il gruppo e, grazie all'amico Pino Sacchetti, conosce Adriano Celentano, che gli propone di entrare come tastierista nel suo complesso, i Rock Boys, con cui si esibisce nei locali sopracitati ed in particolare al Santa Tecla.
Il 17 maggio 1957 la band suona al primo "
Festival italiano di rock and roll", che si tiene nel Palazzo del Ghiaccio e che costituisce una svolta all'interno del panorama musicale nostrano; il gruppo suona la canzone Ciao ti dirò, che si rivela un successo e permette a Celentano di acquisire vasta fama ma, soprattutto, gli fa ottenere un contratto con la casa discografica Music.
Alla fine del 1958 Jannacci, (pur continuando a suonare con i Rock Boys), forma un duo con Gaber, noto con il nome di "
I Due Corsari", che debutta nel 1959 con alcuni 45 giri incisi per la Dischi Ricordi; la fortunata esperienza prosegue anche nell'anno successivo con altri due 45 giri e con due flexy-disc, intitolati Come facette mammeta (un classico della canzone umoristica napoletana) e Non occupatemi il telefono, usciti in abbinamento alla rivista "Il musichiere".
In quel periodo l'ambiente musicale milanese si infervora grazie a cantanti rock come Clem Sacco, Guidone, Ricky Gianco ed Adriano Celentano (partecipa come pianista ad alcune sue incisioni per la Jolly), tuttavia, questo cambiamento nella musica popolare italiana si registra anche in altri centri come, per esempio, Genova dove s'impongono Umberto Bindi, Bruno Lauzi, Luigi Tenco e Gino Paoli, vicini alla Dischi Ricordi: con questi ultimi Jannacci collabora in vari progetti.
Enzo Jannacci torna alla ribalta due anni dopo con un nuovo album, realizzato con la solita collaborazione di Fo e insieme a Fiorenzo Fiorentini: Vengo anch'io. No, tu no, trainato dall'omonimo singolo, diventa in breve tempo campione di vendite e balza in cima alle classifiche italiane, ed il brano giunge addirittura al primo posto dell'hit parade di Lelio Luttazzi. Il cantautore riscuote improvvisamente un grande seguito, che gli vale la partecipazione a diversi show televisivi, come Quelli della domenica, iniziato il 4 febbraio, in compagnia di alcuni amici collegati all'ambiente del Derby (Cochi e Renato, Bruno Lauzi, Lino Toffolo e Felice Andreasi in primis).
Vengo anch'io?
Jannacci non paga lo scotto di essere un "novellino" davanti alle telecamere, dimostrando di sapere calcare nel migliore dei modi i palchi televisivi come quelli del teatro, solitamente a lui più confacenti. Gli apprezzamenti della critica arrivano anche con Ho visto un re, brano cantato insieme a Fo e ad un coro di accompagnamento: il pezzo appare al primo ascolto ironico e nonsense, ma in realtà è infuso di metafore a sfondo politico. Non a caso, diventa uno dei brani simboli del '68, amato proprio per la sua apparente innocenza che nasconde una graffiante satira sociale. Questa caratteristica è ravvisabile anche nella canzone più celebre dell'album, la già citata Vengo anch'io. No, tu no, il cui exploit è certamente dovuto all'apparente semplicità ed orecchiabilità del testo ed in particolare del ritornello: in realtà, la definizione di "canzoncina" che le viene solitamente attribuita è molto riduttiva.
Infatti, come sottolineato dal critico musicale Gianfranco Manfredi, colui che pronuncia la ricorrente domanda «
Vengo anch'io?» e che viene respinto dagli altri con un eloquente quanto significativo «
No, tu no», simboleggia il tipico personaggio che, secondo l'immaginario collettivo, cerca ad ogni costo di non sentirsi escluso dal gruppo di amici a cui si riconduce, chiedendo di poterci essere -qualunque sia il progetto e l'intenzione della massa- come tutti gli altri. Ma le altre persone lo respingono solo per il gusto di vedere qualcuno nel ruolo dell'emarginato, di quello «di cui si deve ridere ma che non deve ridere».
Inoltre, solo negli ultimi tempi si è venuti a conoscenza di una strofa che, per motivi legati alla censura, è stata rimossa dalla canzone e che si riferisce alla tragedia dei minatori italiani in Belgio (Disastro di Marcinelle) ed anche alla sanguinaria dittatura del generale congolese Mobutu, le cui efferatezze in materia di diritti umani stavano scuotendo in quel periodo le coscienze dell'occidente.
Nel 1968 partecipa alla dodicesima edizione di Canzonissima, dove canta con l’intero cast la sigla
Zum zum zum e arriva in finale. Vorrebbe presentare Ho visto un re per scontrarsi con Gianni Morandi, ma la RAI si oppone; ripiega quindi su Gli zingari, brano struggente e delicato, molto diverso dalla leggerezza e dal tono goliardico di Vengo anch'io. No, tu no, ed infatti non ottiene l'apprezzamento del pubblico. Infatti, la commissione incaricata dai dirigenti RAI di approvare o meno le canzoni proposte dagli artisti in gara, respinge la canzone definendola eccessivamente intrisa di significato politico e di tono polemico. La delusione per la sconfitta finale è così cocente da indurre Jannacci a trasferirsi per quattro anni (a periodi alterni), prima in Sudafrica e poi negli Stati Uniti, allo scopo di riprendere gli studi di medicina, in particolare di chirurgia e cardiologia, che aveva abbandonato temporaneamente dopo la laurea e l'inizio della carriera nel mondo dello spettacolo. Nello stato africano collabora con il cardiologo Christiaan Barnard, grazie al quale approfondisce notevolmente le sue conoscenze in ambito medico.
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